Cina 25 Gennaio, Italia, 9 Marzo, Spagna 14 Marzo, USA (solo alcuni stati) 17 Marzo, Regno Unito e Nuova Zelanda 22 Marzo, Ungheria 28 Marzo, Singapore7 Aprile. Una strana macchina del tempo globale, come quando a capodanno iniziamo a vedere i festeggiamenti dell’anno nuovo già dall’ora di pranzo con le foto della Nuova Zelanda. Oggi non condividiamo feste ma emozioni. Le emozioni che ci attraversano in questo momento attraversano tutto il mondo…con un ritardo dato dalla propagazione dell’onda della pandemia.
La prima settimana è stata quella dell’entusiasmo. Abbiamo considerato il momento come un’occasione di cambiamento. Le nostre vite si sono improvvisamente semplificate, e abbiamo scoperto I nostri spazi di casa. Ci siamo presi cura di quello spazio, spostato mobili, cambiato guardaroba, comprato farina e lievito. Ci siamo emozionati ai flash mob musicali e agli applausi perchè nella distanza fisica ci sentivamo tutti uniti.
La seconda settimana è stata quella della rabbia. Ci siamo arrabbiati con i runner perchè correvano, con il vicino di casa che non indossava la mascherina, con il fruttivendolo che ancora non aveva i guanti. Ci siamo arrabbiati con i posti di blocco, con il governo che aveva messo su le misure, con le autocertificazioni, con le code impossibili ai supermercati e la spesa da mondo postatomico.Rabbia per chi non rispettava le misure di sicurezza, rabbia per chi le misure le aveva scritte. Anche dentro casa le distanze sembravano più grandi.
La terza settimana è stata la settimana della paura. Abbiamo iniziato ad avere paura di non vederne la fine. Paura che l’emergenza si fosse trasformata in una nuova normalità, che la città non sarà più quella di prima, che potesse succedere qualcosa ai nostri cari senza che noi possiamo riabbracciarli. Paura che non ci fideremo più delle altre persone.
La quarta settimana è stata la settimana della tristezza. Abbiamo tutti un conoscente o un amico che ha avuto il virus, che ci ha raccontato, nel migliore dei casi, la terribile malattia; nel peggiore dei casi, di cui abbiamo letto la notizia della scomparsa, senza poter fare nulla, senza poter dire addio come avremmo voluto. Si inizia a sentire di riaperture di negozi ma in qualche modo non ci crediamo, perchè il virus è ancora lì ed è difficile immaginare come scomparirà.
La quinta settimana è la settimana dell’accettazione. Iniziamo a considerare una nuova normalità. Si parla per la prima volta di futuro. Come organizzare le spiagge in vista delle vacanze al mare, come organizzare la ripresa lavorativa mantenendo il distanziamento sociale. Come ripartire sapendo che l’obiettivo non è che tutto torni come prima, ma imparare a vivere questa nuova realtà.
Sono state cinque settimane di elaborazione: abbiamo tutti perso qualcosa o qualcuno. Abbiamo perso le nostre vite frenetiche. Purtroppo molte persone hanno perso la vita. E molte persone hanno perso il lavoro.Galimberti descrive la perdita, il lutto come uno stato psicologico conseguente alla perdita di un oggetto significativo, che ha fatto parte integrante dell’esistenza. La perdita può essere di un oggetto esterno, come la morte di una persona (…), o interno, come il chiudersi di una prospettiva, la perdita della propria immagine sociale (…) (1999). Il filosofo ci insegna così due cose: uno è che il lutto non è caratterizzato dalla sola tristezza, ma da uno “stato psicologico”, un insieme di emozioni, quindi. L’altro è che il lutto non è solo legato alla perdita di qualcuno, ma anche di qualcosa, più o meno palpabile, più o meno riconoscibile dall’esterno.
Una famosa teoria sviluppata tra gli anni 90 e gli anni 2000 da Elizabeth Kubler Ross individua cinque emozioni prevalenti che si susseguono (con tempi e alternanze non necessariamente lineari) nel processo di perdita:
la negazione
la rabbia
la paura
la tristezza
l’accettazione.
Ognuno di noi ha una storia incredibile da raccontare su questi primi 40 giorni di quarantena. Siamo tutti uniti, nella distanza. I gradi di separazione sono meno di 7.
Cecilia Fusco